Urano

Il problema non è se siano autentici i sogni, ma se sia autentica la vita reale

Incipit

UranusandringsTorniamo per un momento sulla Terra, e più precisamente nella città dove il corpo di Carlo sta riposando. La notte è finita e gli astronomi dilettanti, anche quelli così fanatici da essere disposti a restare alzati fino all’alba, hanno lasciato i balconi delle loro case e rimesso a posto i telescopi artigianali. Le stelle ed i pianeti hanno lasciato il cielo, come attori alla fine di uno spettacolo e solo la soubrette Venere (in arte Lucifero), sempre generosa della sua bellezza, continua a mostrarsi sul palcoscenico.

Per qualcuno, è già cominciata la giornata di lavoro, ma la maggior parte delle persone è ancora a letto, e può contare su un’ora e mezzo di sonno profondo e di sogni, prima che la sveglia la richiami al mondo reale. Fra queste persone, c’è anche Carlo. Fino a questo momento, per quanto il suo cervello vagasse da un pianeta all’altro, trovandosi a volte in situazioni sgradevoli, il suo corpo ha riposato tranquillo, salvo che per una polluzione notturna in coincidenza con la sosta su Venere e l’incontro con Verena.

Adesso, invece, come accade durante gli incubi, l’agitazione di Carlo si è trasmessa dalla mente al corpo, che si agita e si rigira sotto le lenzuola, e alle sue labbra, che ripetono la frase su E. T., anche se nessuno è in grado di sentirla. Basterebbe pochissimo perché il velo del sogno si rompesse, Carlo si risvegliasse nel suo letto, anziché sul vascello spaziale di Nino, e, dopo un attimo di sollievo, imprecasse contro lo stupido incubo, che gli ha tolto un’ora abbondante di sonno. Ma il subcosciente di Carlo ha deciso di fargli visitare tutti i pianeti del sistema solare, uno per uno; pur di completare la visita organizzata ricorre alle scuse più incredibili e saccheggia tutti i precursori della fantascienza. Dopo aver preso in prestito da Ariosto l’ippogrifo, ha copiato da Luciano di Samostata l’idea della tempesta che trascina la nave fra i mondi celesti.

Chiudiamo la parentesi terrestre e torniamo nello spazio profondo, dove il sole è ridotto ad un puntolino che non si distingue dalle altre stelle.

Riassunto

titania2Il vascello su cui si trovano Carlo e Nino è trascinato, da una tempesta magnetica fino all’orbita di Urano, il più eccentrico dei pianeti. Non potendo atterrare sul pianeta, i due scendono su uno dei satelliti, Oberon, che, contro tutte le leggi scientifiche, risulta dotato di vegetazione e abitato. Lì, incontrano Oberdan. Costui era un giovane e promettente dirigente della XYZ, fino a quando non aveva cominciato a dare segni di schizofrenia, inventandosi l’esistenza di un fratello pittore, fino a quando, di ritorno da un viaggio di lavoro in Irlanda, non era impazzito completamente, dichiarando di aver sposato la regina dei folletti e cambiando il proprio nome in quello di Oberon, costringendo la ditta a ricoverarlo discretamente in una clinica svizzera. Oberon accoglie cortesemente i due ex colleghi e li informa che, sui satelliti di Urano, vive una folta comunità di ex manager o segretarie, tutti fuggiti dalla terra e dallo stress del lavoro. Dopo una conversazione decisamente surreale, Oberon offre a Carlo un pizzico di polverina della regina Mab, per consentirgli di tornare sulla terra, ma la magia non funziona e Carlo si trova trasportato sull’oceano di metano del pianeta Nettuno.

Commento

Per il pianeta Urano, a differenza che per quelli precedenti, non potevo appoggiarmi alla mitologia greca; visto che è un pianeta per molti versi anomalo (è inclinato di cento gradi ed è l’unico a ruotare in senso antiorario) e che i suoi satelliti sono stati chiamati coi nomi dei personaggi di Shakespeare, ho deciso di farne il pianeta della follia e della fantasia. Oberon/Oberdan trova, in un certo senso, una via di uscita dall’alienazione, opposta a quella di Nino: anziché svolge il proprio lavoro con dedizione, lo rifiuta completamente per fuggire nella fantasia. Raccontando le storie delle segretarie fuggite sulle lune di Urano, mi sono divertito a parodiare le tragedie shakespeariane, spostandole al giorno d’oggi e condensandole in quattro righe.